Esistono “i rapper”, ed esiste Kento.
Il Rap che mi affascina e mi prende di più è quello dove le figure retoriche alimentano una metrica che si avvicina più a quella di una poesia, costruita per immergersi nella storia e per cercare di percepire più significati oltre a quello che arriva al primo ascolto.
Uno tra i must del genere è Francesco Kento, rapper di Reggio Calabria, che ha un bagaglio personale di vita vera, di realtà che ama far conoscere a tutti per creare dibattito.
Il suo ultimo lavoro discografico è accompagnato dal libro Barre: Rap, sogni e segreti in un carcere minorile e racconta della sua esperienza di insegnante di rap in laboratori rivolti ai giovani detenuti negli istituti penitenziari minorili. Il titolo dell’album è Barre mixtape, come le barre che compongono le canzoni rap e come le sbarre che delimitano il presente, tra ieri e oggi.
Ad un primo ascolto poco attento forse non traspare la presenza della non libertà. Potrebbe sembrare uno di quegli album rap dove si dicono tante cose e rimane poco, ma in realtà più ascolti e più comprendi la malinconia, la voglia di rivincita, la voglia di raccontare e di cambiare la propria esistenza, che è molto più di un errore commesso per inesperienza o per mancanza di ideali.
Le basi su cui si muovono le parole sono tutte ottime e si mescolano bene al flow di Kento, che riesce a dar voce a sentimenti e pensieri, che nella nostra libertà quotidiana ci sembrano scontati.
Aspettavo questo progetto più di quanto aspettassi un concerto. Avevo bisogno di ascoltare Kento, di interrogarmi, di provare a comprendere delle realtà lontane da me.
#nonchiamatelafissa di Paolo Pavel Porsia