Cosa ci manca in questo 2020 più di ogni altra cosa?
«La musica e le chiacchierate con gli amici», risponderemmo in coro, da sottopalco e possibilmente con degli accendini in mano, noi di Non Chiamatemi Groupie. E se una mattina di dicembre succedesse inaspettatamente di poter coniugare entrambe? È con questa premessa che affrontiamo il roundtable di Wrongonyou, appena prima della decisiva selezione che noi speriamo lo porti a Sanremo.
Chiacchiere da divano in cui ci racconta che lui «questo periodo buio» l’ha affrontato non come un’occasione persa ma come una possibilità per lavorare al nuovo disco e a Lezioni di volo, il singolo che lo ha portato ad Ama Sanremo. I tempi dilatati del lockdown hanno influito positivamente sulla sua scrittura, dandogli modo di riflettere e mettere su carta pensieri e sensazioni; l’ispirazione, poi, arriva spesso dai film, durante i quali tiene la chitarra in mano, pronto a fare di immagini e sensazioni la colonna sonora del suo sentire.
Lezioni di volo suggella il suo rapporto con l’italiano, lingua già sperimentata in Milano parla piano, album uscito lo scorso anno. Il vestito che prima gli stava stretto è nel frattempo diventato una confortevole tuta da casa che lo fa sentire libero di esprimersi. Ha certamente dovuto adattare una vocalità plasmata sul folk ad una lingua e una struttura completamente differenti, con regole che all’inizio possono tarpare le ali alla creatività ma che, una volta apprese, regalano la libertà artistica di poter essere compresi appieno dal pubblico, che può ritrovarsi nei testi e cantare le canzoni con maggiore spontaneità.
La libertà è, in effetti, il motivo portante del brano stesso: dal titolo alla copertina, tutto suggerisce di lasciarsi andare, fidarsi, con un giusto mix di coraggio e prudenza, come il trapezista raffigurato nella cover (ad opera di Valerio Bulla) che si lancia nel vuoto consapevole che il suo affidarsi verrà premiato da chi lo afferrerà nel volo.
Per quanto affezionato alla dimensione intima dei piccoli club, ammette, calcare il palco dell’Ariston significherebbe, tra le altre cose, coronare il sogno di esibirsi con un’orchestra, cosa che ha sempre invidiato alle grandi star.
Riguardo gli altri sfidanti di Sanremo, Marco non si sbilancia e ci confida che forse chi teme di più è proprio se stesso e la sua ansia da palcoscenico dovuta alla timidezza: «m’immagino bianchiccio, con le occhiaie, impanicarmi e fare una colossale figura di merda tipo inciampare sulle scale e diventare subito un meme». Nonostante la paura per ciò che potrebbe arrivare o non arrivare grazie a questa opportunità, è sicuro che sia la strada giusta: la sera prima che annunciassero i nomi, racconta, era in un piccolo locale di Bologna a suonare davanti ad una manciata di persone e lì ha sentito la certezza che quello era il mondo in cui avrebbe voluto stare per sempre, ciò che avrebbe voluto essere e fare. E avere una certezza, nel 2020, è già un bel regalo.
Dal canto nostro, non possiamo che augurargli un grande in bocca al lupo per stasera e prepararci a fare il tifo davanti ai nostri schermi!
#nonchiamatelafissa di Chiara Francese