Amalfitano è la mia fissazione musicale da circa un paio di anni, da quando l’ho ritrovato sul palco a Villa Ada in apertura a Giorgio Poi. Ero già estimatrice dei Joe Victor, ma da quando ho incontrato il nuovo progetto di Gabriele, le sue canzoni sono fisse nella mia auto e la sua voce mi riporta a casa sana e salva nelle notti più assonnate.


Avviso ai naviganti: se ancora non l’avete ascoltato, sappiate che le sue canzoni creano dipendenza immediata, le senti una volta e non smetteresti più. A metà tra l’acustico e l’elettronico, apparentemente grezze ma con arrangiamenti squisitamente raffinati, in un melting pot di stili e di musica anni ’70 e ‘80, incastonate di citazioni pop che ti chiedi come cavolo sia riuscito a infilarle lì. Testi impressionistici, costruiti come flussi di coscienza senza una morale, semplicemente diapositive di vita messe in fila.
Ogni pezzo sembra “già sentito”, nell’accezione più positiva di questa espressione: al primo ascolto ti suona già nelle orecchie, ti fa sentire a casa e ti gasa come a una serata revival con brani di Rino Gaetano, David Bowie, Lucio Dalla, Moroder, Renato Zero, Peter Gabriel, tutti quanti insieme. Eppure è al contempo musica nuova, fresca, energica e estremamente ritmica, roba che ti entra nello stomaco e ti impedisce di stare fermo.


Se già nella versione in studio i pezzi danno una carica assurda, dal vivo sono clamorosi. Erano due anni che aspettavo di sentire Amalfitano in un concerto tutto suo, e al Monk mi sono ritrovata in un live coinvolgente ed energico come pochi.

Photo credit: Estefania Lochtenberg

Il modo di cantare di Gabriele è appassionato come raramente si sente ai concerti della scena “indie” italiana. Sembrava di stare a un concerto pop tipo di Vasco o di Venditti, con un pubblico affezionato e in visibilio, tutti a cantare a squarciagola, abbracciati o con le braccia tese al cielo. Per non parlare della band che suona in modo assurdo e che ha trascinato tutti in un unico grande pogo, in una sorta di rito spirituale collettivo. Su “Ogni mia sbronza” l’energia era così travolgente che mi sembrava di stare sollevata da terra. Ho chiuso gli occhi e mi sono sconnessa dalla realtà. Improvvisamente mi trovavo in uno stadio, dentro a un concerto oceanico. Non sentivo più stanchezza, caldo, fame oppure sete: saltavo, cantavo ed ero solo tanto tanto felice.

Photo credit: Estefania Lochtenberg

L’unico rammarico, da piccola nostalgica dei Joe Victor, è stato tornare a casa con il desiderio insoddisfatto di risentire Charlie Brown dal vivo.


#raccontamiunconcerto di Maria Laura Fiorentini